Editoriale - Il Trump d’Asia tra campi da golf in Vietnam, dazi impossibili alla Cina, il rischio di Taiwan e gli equilibrismi indiani
Come cambia la geopolitica asiatica con il ritorno del tycoon americano alla Casa Bianca
Il presidente-eletto americano Donald Trump riscriverà le regole in Asia, non tanto come costruttore di ponti quanto come incendiario di vecchi equilibri. Il suo ritorno al potere rende l’Asia un palcoscenico più incerto, ma anche più dinamico, dove ogni nazione, dall’India al Giappone, dal Vietnam alla Corea del Sud, dovrà adattarsi e trovare il proprio ruolo in un contesto che non garantisce più stabilità né certezza. Per i Paesi BRICS questa è una nuova opportunità, come segnalano già le prime reazioni dalle capitali del “mondo multipolare.”
L’annunciato ritorno di Trump alla Casa Bianca è più di un evento politico: è un terremoto geopolitico che scuote l’Asia, rimescolando alleanze, risvegliando vecchi timori e aprendo nuove opportunità. Trump, con la sua dottrina dell’“America First,” non è solo un leader imprevedibile; è una figura che incarna la potenza di un’America disinvolta, quasi provocatoria, nel mondo. Questa elezione cambia molte cose nelle stanze del potere a Pechino, Tokyo e Delhi, come nelle altre capitali asiatiche.
Con questo “come back” trumpiano, la superpotenza americana sembra abbandonare del tutto l’uniforme da “poliziotto del mondo,” diventando piuttosto quello che potremmo definire il “mercante imperiale.” Il Trump del secondo mandato non consecutivo è guidato ancor meno da ideali di democrazia o da principi astratti: lui negozia, scambia, impone dazi e tratta ogni accordo come una transazione a sé stante, spesso sfruttando i propri legami d’affari come estensioni della diplomazia. It’s business as usual, in altre parole.
In Vietnam lo sanno bene: la recente firma di un contratto da 1,5 miliardi di
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