Il problema della libertà
Perché rinunciamo volontariamente alla nostra libertà? Perché così tante persone si sottomettono ai tiranni, pur avendo il potere di resistere?
Il mio nome, Carlo, deriva dall’antico termine norreno “karlon”, che significa “uomo libero.” Naturalmente, tutto dipende da come la si usa, questa libertà.
Col passare dei secoli, il nome “karlon” è venuto a significare più semplicemente “uomo,” “tizio,” o, nel linguaggio moderno, “fra’.” Questo ha portato alla declinazione in antico inglese di “ceorl,” un uomo di bassa condizione, libero ma comune, e ciò ha dato origine al termine spregiativo “churl,” ossia un villano.
L’evoluzione di questa etimologia ci ricorda che sei libero di diventare un valoroso Carlo Magno, un diligente Carlo Linneo, un brillante Carl Jung, un influente Karl Marx, persino un elegante Karl Lagerfeld, se non un Re Carlo… oppure puoi trasformarti in un semplice “churl,” un villano, un brontolone, una persona sgarbata. Uno che fa le cose alla carlona. È questo ciò che accade con la libertà: sta tutto nel modo in cui la usi.
“Karlon” significava anche libero dalla schiavitù dell’Impero Romano d’Oriente, ormai in declino, ma che stava convertendo molti razziatori vichinghi al cristianesimo. Nomen omen, dicevano i pensatori romani: il nome contiene il destino.
A sedici anni, il mio destino mi portò ad emigrare dalla Terra dell’ex Impero Romano fino alla “Land of the Free and the Brave,” l’America dei Liberi e dei Temerari e, in seguito, fin nella Terra della Libertà Spirituale, l’India.
Eppure, nonostante l’abbia inseguita per tutta la vita, sento ancora che la libertà mi elude, come forse, in ultima analisi, sfugge a tutti noi, perché la libertà è una parola che porta con sé molti fraintendimenti, un’espressione che talvolta nasconde l’opposto di ciò che promette.
Uno dei problemi della libertà è l’illusione che dobbiamo possederla per perseguire e raggiungere la felicità. Molti credono che la felicità sia direttamente collegata al soddisfacimento dei nostri obiettivi, costruiti attorno ai desideri. Vogliamo essere liberi di soddisfare le nostre brame, qualunque esse siano. Per secoli, potenti scontri e profondi fraintendimenti filosofici si sono cristallizzati attorno a questo concetto.
Come ho appreso in India, essere liberi significa eliminare le brame o, quantomeno, domarne la capacità di controllare le nostre vite. La virtù oggi può sembrare una parola obsoleta che evoca rigidi colletti vittoriani e insegnanti prussiani che bacchettano i bambini con pesanti righelli squadrati. Il desiderio sembra molto più allettante. Eppure, le brame non sono, in ultima analisi, ciò che rende la ricerca di un obiettivo più dolorosa e tormentata?
La questione della libertà si risolverebbe rapidamente se fossimo in grado di vivere secondo queste ovvie conclusioni. Ma è difficile per la maggior parte di noi. Molti credono ancora che la nostra volontà debba essere libera di cercare ciò che vogliamo. Tuttavia, questa costruzione crolla attraverso la lente di un esame più rigoroso.
È la classica situazione del bastone e della carota. Per secoli, il libero arbitrio è stato la carota che pende davanti alla nostra bocca, mentre i sensi di colpa sono stati il duro bastone che ci colpisce alle spalle per reindirizzare le nostre azioni.
Ma il libero arbitrio è davvero possibile? Non possiamo esprimere un desiderio che provenga da una fonte realmente neutra e indipendente che sgorga dall’interno della nostra mente. Ancora una volta, l’etimologia ci viene in aiuto per dissezionare un significato più vero che si cela dietro la parola.
Il dizionario ci dice che l’aggettivo “libero” significa “essere in grado di agire o fare come si desidera; non sotto il controllo di altri.” Presuppone, erroneamente, che siamo noi a controllare i nostri gusti, desideri e brame. E
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