Editoriale: cosa aspettarsi dalla lotta per la democrazia in Asia nel 2025?
Tra sogni, resistenza e guerriglia giovanile, dalla Georgia alla Corea del Sud, passando per l'Iran, l'Indonesia e Myanmar tra i contorni di un nuovo mondo.
Perché è indispensabile informarsi bene e a fondo su ciò che accade nel continente più popolato al mondo? It’s the economy, stupid, diceva anni fa un presidente americano. L’economia, ovvio. Anche troppo ovvio. Perché l’economia è politica. E chi non studia la trasformazione politica, avrà sorprese economiche. Anche spiazzanti. La democrazia, teoricamente, anche se il tema è più articolato, dovrebbe garantire la rappresentanza di interessi plurimi, non solo quelli di una minoranza potente. Ma la tensione tra questi due punti è sempre in flusso.
Per questo l’Asia è una realtà enorme e complicata che va seguita molto di più di quanto non facciamo oggi, abituati come siamo a guardare troppo verso ovest, a spiare pedissequamente ogni sussulto e moda in arrivo dalla nazione che 80 anni fa ci ha aiutati a uscire dalle macerie della Seconda guerra mondiale. Quel mondo postbellico risorto con il piano Marshall, quel globo ricostruito con la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, sotto la tutela dall’Organizzazione del patto del nord-atlantico, nell’ambito delle regole spesso ignorate dell’Onu, sembra davvero destinato a indebolirsi drasticamente, nel 2025. Ne sorge uno nuovo, più sovranista a ovest, più autocratico a est e a sud. E’ un universo i cui contorni vanno delineandosi sempre più chiaramente. Non sono sempre buone notizie, ma la partita è iniziata.
Nel vasto e complesso panorama politico asiatico, l’idea di democrazia appare oggi come una fiamma che, nonostante le intemperie, continua a bruciare. E’ ingenuo idealizzare questa battaglia come un percorso lineare verso una società più giusta. Non tutti desiderano la democrazia, troppi la manipolano, né questa garantisce, difatti, l’assenza di derive autoritarie.
È un sistema che prevede la possibilità di fallimenti elettorali, corruzione, e persino la scelta di governi autocratici. Anche quando le elezioni non sono truccate. Eppure, esiste un’energia trasformatrice che non può essere ignorata: la determinazione dei giovani che, spesso a costo della vita, combattono per un futuro più libero. Ecco che l’Asia nel 2024 ha fornito esempi contrastanti sul destino della democrazia.
In India, il ritorno al potere di Narendra Modi e del Bharatiya Janata Party con un terzo mandato indebolito ha aperto spazi per un’opposizione più forte e un rinnovato protagonismo della società civile. Modi è stato costretto a fare marcia indietro su una serie di questioni, come la controversa legge sui media, già quasi tutti schierati sulle posizioni pro-governative.
Il quadro regionale offre anche immagini più cupe: in Indonesia, Prabowo Subianto, ex generale con un passato controverso sui diritti civili, ha preso il potere e ha arrestato subito un importante oppositore politico.
In Thailandia, il Movimento Avanti, simbolo della speranza democratica, è stato messo al bando. Molti suoi sostenitori languono in prigione.
Dall’altro lato, il crollo del regime di Sheikh Hasina in Bangladesh, dopo anni di autoritarismo, sembra offrire un segnale di cambiamento. Diverse geografie, religioni, storie, ma ciò che accomuna questi destini politici è il ruolo fondamentale della resistenza giovanile.
Da Tbilisi, dove inizia l’Asia occidentale, a Teheran, da Yangon a Seoul, movimenti profondamente radicati nelle realtà locali stanno cercando di ridefinire il significato di democrazia in Asia. Democrazie corrotte da elezioni-truffa, dittature religiose, classiche dittature militari e democrazie in bilico si trovano ad affrontare la sfida dal basso.
In Georgia, migliaia di manifestanti continuano a chiedere nuove elezioni dopo accuse di brogli, mentre in Iran le donne affrontando la morte non cessano le loro proteste, a volte anche solo individualmente, sfilando a capo scoperto o anche di più, per opporsi alla dittatura della legge islamica, infrangendo tabù con il coraggio di chi non ha più nulla da perdere, tranne la vita.
A Myanmar, la gioventù pro-democrazia sopravvissuta ai massacri di questi anni nelle città, ora si addestra con gruppi ribelli, condividendo il warfare moderno con l’uso di droni e nuove tattiche militari per sfidare un regime che non lascia spazio al dissenso. È una guerra asimmetrica che mescola modernità e disperazione, dove i giovani non vedono alternative alla lotta armata.
Nel frattempo, in Corea del Sud, è arrrivato il mandato d’arresto per il presidente Yoon Suk Yeol per aver tentato di imporre una legge marziale che ha mobilitato le proteste di massa. Ciò ricorda al mondo che anche le democrazie consolidate dell’Asia del nord non sono immuni da tentazioni autoritarie. Ma che, a volte, la democrazia prevale.
Mentre queste battaglie si intensificano, è essenziale ricordare che il destino della democrazia non dipende solo dalle grandi piazze o dai droni che sorvolano le giungle del Myanmar. Dipende dalla capacità di queste società di costruire istituzioni solide, educare i cittadini ai valori democratici, e, soprattutto, accettare che la democrazia è un processo imperfetto, ma necessario. È una lotta che, paradossalmente, deve accettare il rischio del fallimento per poter prosperare.
Il 2025 si preannuncia come un anno cruciale per il destino politico dell’Asia. La battaglia tra democrazia e autocrazia non si combatterà solo nelle urne o nei parlamenti, ma anche nelle strade e nei cuori delle persone. È una battaglia di idee, una guerra culturale che richiede coraggio, perseveranza e, soprattutto, una visione.
Le giovani generazioni asiatiche stanno dimostrando che la democrazia non è solo una parola vuota e consunta, ma un diritto per il quale sono disposte a sacrificarsi. Sarà questo spirito, alimentato dalla forza e dall’innovazione, a determinare se la democrazia in Asia sarà una luce destinata a spegnersi o un faro che illumina un futuro più equo.
democrazia? perché ostinarsi a chiamare democrazia un regime che qualsiasi pensatore greco avrebbe chiamato oligarchia? Magari meglio un regime oligarchico di uno tirannico, e su questo Aristotele concorderebbe, ma il regime oligarchico non è un faro e non ci illumina. Al meglio è il meno peggio. Al peggio è una guerra ideologica continua quando si pensa universale.
La metafora luce e faro sono anche desuete e stantie. La “democrazia” (intendi il regime oligarchico che si veste da democrazia?) è un processo necessario? John Gray che tu ammiri e leggi ha scritto tanto contro il vedere forme politiche come necessarie (molti dei suoi scritti contenuti nel volume Gray’s Anatomy sono su questo). L’idea di una forma provvidenziale di storia (che poi è al centro di quella religione definita neo-conservatrice che nulla ha a che fare con il classico conservatorismo) ha radici in una particolare (ma dominante) interpretazione e pratica del cristianesimo che si laicizza nel liberalismo evoluzionario radicalizzandosi. Nella visione di Gray questa concezione del mondo rappresenta una sorta una sorta di bigottismo ed una dannosa infatuazione occidentale. Infatuazione pericolosa perché seguendo la vena universalistica di questa ideologia (o religione positivista come la definisce Gray) il nemico è un deviante che va corretto e riportato nel giusto solco del progresso. Gli scritti di Gray su Bush, Blair, Clinton e la religione neocon sono, su questo illuminanti. Mi sembra che tu sia rimasto impermeabile al messaggio di Gray.
Per quanto riguarda la Georgia a seguito del tuo commento leggo il rapporto ocse (https://www.osce.org/files/f/documents/3/0/579346.pdf) dal quale si evince che le elezioni, nonostante varie problematicità, non sono state irregolari. Oppure sono irregolari perché non seguono la trama provvidenziale che la religione liberale intuisce? Trump quando contesta le elezioni è un delinquente, ma contestare chi sbaglia a votare é legittimo ?
Come John Gray, sono in parte spaventato da questo bigottismo della tolleranza e da questa intransigenza di un illuminismo religioso, ma in parte mi fa anche un pò ridere: è una teologia muscolosa ma povera e sottintesa, potente ma maldestra, verbosa ma rozza (il suo massimo esponente è Fukuyama). Nel 1989 Gray scriveva, contro l’idea di progresso, che non c’è ragione di pensare che il futuro segua regole diverse dal passato, aggiungendo: “ la storia umana è un susseguirsi di contingenze […], e se questo è il caso c’è almeno una disgrazia che ci verrà risparmiata: la melanconia e la noia che la prospettiva di una fine della storia ci presenta.”
Molto molto interessante!!